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Vi voglio parlare della vita
Di quel grido di un’anima sgraziata
Trapana le tempie, lo volevo io quel tubo
Ma quel pezzo di polmone, non lo avevi tu
Un corpo già rigido, lo spirito lì negli occhi
Una carezza, goffa, un sorriso come il sole
Che non sentivo più, il corpo perso
Nella carezza di una stoffa sottile, ma pesantissima
La mia armatura, la maschera per le lacrime del mio corpo.
L’uniforme letterale, isolante delle speranze.
Di quei giorni ricordo solo gli occhi,
Quelli amari, avviliti, tesi, distrutti, sfuggenti,
Ma anche quelli tenaci, che non si arrendono,
Con l’orgoglio e la testardaggine tipica dell’essere bresciani,

lavoratori sino all’ultimo resipiro.

Al giorno si sussegue la notte, non conto più le ore, solo i respiri.
E il pensiero corre a quella signora, che tanto ti ricorda mamma,
due settimane a lottare con la NIV difettosa, per poi venir intubata.
Troppo giovane per lasciarla andare, dicono. Speri.
E sorridi di nuovo, sotto quella mascherina.